Chi in questi anni ha provato a fare entrare nel dna del Partito democratico (e dei suoi progenitori) il tema dell’uguaglianza dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e trans sa bene quale fatica è costata e quanta inerzia si è dovuta contrastare. Quante capriole verbali per scrivere nei documenti poche parole di uguaglianza.

Ricordo il mio battesimo del fuoco come portavoce dei gay del Pds al congresso del Palaeur di Roma, quello del trionfo di D’Alema nel febbraio 1997, e di come riuscimmo a fare inserire la sera nello Statuto del partito il “riconoscimento della libertà di orientamento sessuale” (pensate!) per ritrovarcelo la mattina dopo stravolto in una formula annacquata nella versione messa agli atti e diffusa alla stampa. E che fatica ad ogni programma, ad ogni scadenza elettorale. Storico il corposo programma dell’Ulivo del 2006 che, nonostante le dichiarate intenzioni di Prodi e a causa del pressing dell’angelica e vittoriosa coppia Rutelli/Ruini, trasformò la promessa dei Pacs in un ineffabile riconoscimento giuridico dei diritti “delle persone che fanno parte delle unioni di fatto”. Un disconoscimento delle famiglie omosessuali che provocò una rottura fra centrosinistra e comunità lgbt che non si è mai risanata.

Poi vai alla presentazione della candidatura di Pippo Civati a segretario del PD e aspetti 25 secondi dall’inizio del suo intervento per sentirgli dire: “Non bisogna cambiare la lingua: i matrimoni egualitari si chiamano così’, non civil partnership”. E allora pensi a quanti candidati alla leadership del Pd o dei suoi progenitori hai chiesto questa chiarezza. A quanti hai cercato di spiegare che gay e lesbiche non sono marziani massimalisti che non sanno che per fare una legge occorrono i numeri in parlamento e che magari ancora non ci sono, Ma che da un leader di sinistra loro, come tutti i nostri potenziali elettori, si aspettano di sentirsi dire non solo cosa farà oggi con i numeri che ha, ma anche cosa farà domani quando i numeri li avrà: quale visione ha della società, dove vuole guidarti o accompagnarti se tu ed altri gli darete fiducia. Qual è, se ce l’ha, il suo sogno di uguaglianza fra i cittadini.

Civati quella visioni l’ha messa nero su bianco nel suo programma, dove si parla di famiglie lgbt, matrimoni egualitari, omogenitorialità, diritti costituzionali, adozioni, riforma globale del diritto di famiglia. Ognuna di queste parole evoca un impegno, una battaglia non facile. Ma ti fanno venire voglia di metterti in gioco, di partecipare a un processo di cambiamento che, come qualunque riforma politica, va desiderato ed evocato prima di essere realizzato. “Il futuro entra in noi molto prima che accada” era lo slogan di quel lontano congresso all’Eur.

Nel suo programma Gianni Cuperlo se la cava evocando “diritti e doveri per coppie di fatto omosessuali”. Coppie di fatto. Neppure l’evocazione di una qualche forma di riconoscimento giuridico. Anni indietro rispetto al programma di Bersani, un risucchiamento spazio-temporale all’età dei Dico. Matteo Renzi si spinge ad evocare “la libertà di ogni persona di compiere le proprie scelte”: forse una frase così avrebbe fatto contento D’Alema nel ’97.

Articolo pubblicato sull’Huffington Post

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